Mi chiamo Alfredo Bini, ho 40 anni e sono di Cintolese, un paesello sperso nelle campagne tra Pistoia e Lucca. Lavoro ovunque qualcuno mi chieda di fare delle fotografie e da qualche tempo vivo più o meno stabilmente negli Stati Uniti. In questo momento mi trovo a NY, sta piovendo e spero che l’inverno venturo non sia come quello passato.
Le mie esperienze fotografiche sono essenzialmente legate al fotogiornalismo, almeno inizialmente. Non ho frequentato alcuna scuola o maestri particolari. In tre anni, tra il 2002 e il 2005 ho partecipato a tre workshop di una settimana ciascuno al TPW, uno dei posti più interessanti del panorama formativo Italiano in ambito fotografico. Non erano tanto gli insegnanti a fare la differenza, comunque tra i più riconosciuti professionisti al mondo, ciò che rendeva quell’esperienza assolutamente unica erano soprattutto gli scambi di pensieri e sensazioni tra gli studenti di corsi differenti. C’era una commistione di stili e idee e si respirava un’aria di libertà creativa che non ho mai trovato in nessun altro posto. All’epoca il TPW era frequentato principalmente da studenti che volevano fare questo mestiere, la dedizione che riversavano in questo lavoro era tanta e se ne usciva con molti stimoli e voglia di mettersi in gioco.
Dal 2010 sono rappresentato dall’agenzia Cosmos di Parigi, fondata alla fine degli anni 70 da Annie Boulat, e adesso negli Stati Uniti ho un agente per i progetti corporate.
Tra i miei lavori principali c’è “Transmigrations”, un progetto sul viaggio dei migranti attraverso il Sahara che è stato pubblicato tra gli altri su African and Black Diaspora per la DePaul University di Chicago, e per l’Harvard University su New Geographies Journal. “Libyan Uprising,” che è il reportage sul primo mese della rivoluzione Libica del 17 Febbraio e che include le prime immagini al mondo pubblicate dalla stampa internazionale sull’assedio di Misrata e “Land Grabbing or Land to Investors?” che dopo Francia, Cina, Stati Uniti e Belgio, quest’anno è stato esposto anche in Italia. Su questo argomento grazie all’aiuto dell’Università della Virginia e di altri partner, ho prodotto recentemente un video-documentario ed ho trovato molto stimolante seguire le fasi del processo di montaggio, editing e scrittu ra delle musiche.
Quando hai iniziato a fotografare e perchè?
M’è sempre piaciuta la fotografia. Ero attratto dai colori e dalle forme plastiche delle fotografie di moda degli anni 80. In casa c’era una vecchia Cannonet 28 e quella è stata la mia prima macchina, sostituita poi da una Nikon 501 che mio fratello mi comprò a Hong Kong verso la fine degli anni 80. Credo fosse una delle prime autofocus Nikon mai prodotte.
A un certo punto iniziai a viaggiare, leggere tanto e cercare di capire i posti che visitavo. Ero genuinamente attratto dalla storia di quei luoghi e m’interessavano le ingerenze occidentali che scoprivo ovunque. Viaggiavo in gran parte nel Sud-est asiatico e in Centro America. La prima pubblicazione però risale a una ricerca sul paesaggio scattata nel 2000 in Norvegia con una Hasselblad 500 C\M. Qualche anno dopo organizzai in Cina il primo reportage e successivamente lasciai il vecchio lavoro per dedicarmi anima e corpo a questo mestiere.
Al momento ho diversi lavori inediti realizzati in questi anni che prima o poi farò uscire, scatto assegnati corporate e sto seguendo un progetto personale al quale tengo molto.
Il tuo / i tuoi generi fotografici?
Sono attratto da tutti i linguaggi. Mi piace il fotogiornalismo classico, quello fatto con il tempo necessario per entrare in sintonia con il soggetto. La stessa cosa vale per il video.
La tua giornata tipo?
Mi alzo, leggo un po’ di notizie e rispondo alle mail. Poi inizio a lavorare ai progetti che seguo in quel momento. Possono essere nuove idee, l’organizzazione di mostre o conferenze su lavori passati, oppure editare l’arretrato che intasa il mio HD. Faccio molta ricerca, leggo tanto e cerco sempre punti di vista differenti.
Dedico molto tempo al mantenimento di rapporti di lavoro che considero anche personali. Sono conversazioni che generano stimoli e riflessioni importanti, dalle quali esco sempre arricchito anche se non sempre sono positive.
Puoi raccontarci la fotografia più importante della tua carriera o quella a cui tieni di più?
Credo non ci sia. Di solito mi ricordo le fotografie che ho bucato e tra queste quella che mi torna più in mente è di quando appena partito da Agadez per attraversare il deserto con una carovana di 50 camion e 4000 migranti, c’imbattemmo in un ragazzo che era caduto da uno dei camion. Tutti i suoi averi erano rimasti sopra e lui non aveva con sé ne vestiti, acqua o cibo. Ecco, l’espressione di quel ragazzo in pieno deserto, a 50 km da Agadez, che s’inginocchia al lato della pista implorando lo chauffeur di fermarsi a raccoglierlo mi torna spesso in mente. Eravamo l’ultimo mezzo alla fine del convoglio e l’autista non si fermò. Avrei voluto almeno avere un video di quella scena.
Poi c’è quella dell’infermiera che verso la fine di un concitato e inutile tentativo di mantenere in vita un giovanissimo ribelle libico nell’ospedale di Ajdabiya a un certo punto si apparta su una sedia e si mette compostamente a piangere. Guardava la scena dall’esterno e ascoltava le voci concitate dei dottori che ancora cercavano di tenerlo in vita. È come se lo avesse visto andar via. Dopo poco il ragazzo morì. L’istinto mi porto a sollevare la macchina per inquadrarle il volto, lei mi guardò compassionevolmente e io non scattai. Poco dopo me ne andai attraverso un corridoio che si stava riempendo di cadaveri a causa dell’intensificarsi dei combattimenti. Raccontai questa scena a un amico giornalista che non aveva avuto accesso alla sala operatoria, e senza citarmi la riportò nel suo pezzo in prima persona. Me ne accorsi qualche mese dopo quando catalogavo i pubblicati.
Cosa c’è dentro la tua borsa fotografica?
Adesso c’è abbastanza poco. Qua negli Stati Uniti noleggio le macchine a seconda del lavoro che devo fare. Le ultime sono state una Sony a7 II e una Canon 5D MK III di cui possiedo molte ottiche, avendo quasi sempre usato Canon: 20mm f2.8, 24mm f1.4, 35mm f2, 50mm f1.4, 24-105 f4, 70-300 f4.5-5.6 DO. Ho una Sony Nex 7 che uso con il 16mm f2.8 pancake o il 24-70 f4 Zeiss, e una Sony Rx 100 M2.
Cerco di lavorare il più leggero possibile, soprattutto se devo trasportare il materiale con me e ho anche tentato di passare totalmente al mirrorless che uso professionalmente da molto tempo, ma ho dovuto ricredermi perché per certi usi le DSLR sono a tutt’oggi superiori. Possiedo ancora la vecchia Hasselblad 500 C/M che uso appena posso con un dorso Polaroid. Poi un Mac, HD vari a seconda del lavoro da fare, schede di memoria, taccuini, dentifricio, salviette per il bagno, etc.
Cosa pensi di aggiungere a breve nella borsa e cosa invece pensi di dare via?
Appena produrranno una mirrorless con pochi fronzoli, un software semplice e costruita per regge determinati carichi di lavoro, desidererei passare a un sistema più leggero e compatto. Le DLSR sono troppo grandi, ingombranti e limitano molto nell’approccio con il soggetto che ti percepisce come un estraneo, costringendoti a fare molto lavoro in più per poterti “avvicinare”.
Il sito di fotografia che visiti più spesso?
Non ce n’è uno in particolare, dipende da chi pubblica cosa. Cerco di vedere quante più mostre possibili. Sono sempre meno attratto dalla fotografia spettacolo e sensazionalista che riflette il modo in cui l’informazione è veicolata oggi e a proposito ho scritto una riflessione per il numero di Novembre di Eyes Open.
Mi piacciono molto certi multimedia e devo dire che alcuni sono proprio ben realizzati. Il multimedia è davvero una forma di narrazione particolare. Può essere di una noia mortale oppure tenerti incollato davanti allo schermo del PC per tutto il tempo. Non è un risultato facile da ottenere per un prodotto pensato per esser visto in poco tempo magari con un palmare mentre ci spostiamo sui mezzi pubblici o facciamo altro. Il problema di questo tipo di narrazione sono i contenuti a volte trattati in modo troppo superficiale, ma ciò è legato alle risorse economiche disponibili per realizzare il progetto.
Grazie Alfredo!
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