Mi chiamo Dario Coletti (Roma, 1959) e sono un fotografo professionista dalla fine degli anni Ottanta.
Collaboro stabilmente con testate giornalistiche, istituzioni e organizzazioni umanitarie italiane e internazionali. Da sempre attento alle tematiche del sociale negli ultimi anni sono approdato a una fotografia di più ampio respiro, approfondendo il rapporto tra fotografia e antropologia visiva e sperimentando altri linguaggi visivi come il film documentario.
Alla professione affianco l’attività didattica e oggi sono coordinatore del Dipartimento di Fotogiornalismo dell’ISFCI a Roma.
Quando hai iniziato a fotografare e perchè?
Quando ho stampato la prima foto molti nei loro bagni o negli sgabuzzini avevano un ingranditore e le vaschette, e così è andata per me. Avevo un amico appassionato di tecnologie che aveva introdotto me e alcuni altri amici allo sviluppo del negativo e alla stampa e così all’età di 15 anni ho scattato, sviluppato e stampato la mia prima foto. La macchina fotografica era una Zenith, la pellicola una Ilford fp4 e il soggetto un angelo della basilica di San Paolo a Roma. Se invece si fa riferimento al mio esordio professionale è avvenuto nel 1989, quando avevo trent’anni e esperienze culturali, politiche e di lavoro significative alle spalle. Più della tecnica nella mia scelta di campo ha influito la passione per l’umanità.
Il tuo / i tuoi generi fotografici?
Oggi che la fotografia, con l’avvento delle nuove tecnologie, è cambiata sostanzialmente, mi sento in difficoltà a parlare di generi fotografici, diciamo che mi percepisco come un fotografo che vaga tra le pieghe del pensiero contemporaneo con un’importante connotazione umanista. Mi definirei un fotografo umanista, uno storyteller, un antropofotografo. Cerco di individuare, in ogni storia che tratto, un percorso che collega all’uomo, anche quando esamino situazioni apparentemente inanimate come uno spazio naturale o inabitato. Lo spirito dell’uomo pervade il nostro pianeta sia in senso negativo che in quello positivo.
La tua giornata tipo?
Mi sveglio alla mattina e mi metto al computer per vedere quello che è successo ma soprattutto per cercare suggestioni e indizi per proseguire i miei lavori di lunga distanza. Scrivo mail e cerco informazioni, leggo, mi aggiorno. Tutto questo quando non sono in shooting, in quel caso passo il mio tempo con le persone dei territori che frequento per 24 ore al giorno e scatto foto in continuazione seguendo un progetto preciso e contemporaneamente lasciandomi consigliare dall’istinto per ogni virata o cambio programma.
Puoi raccontarci la fotografia più importante della tua carriera o quella a cui tieni di più?
Le mie foto funzionano tutte assieme e oggi come oggi preferisco usare il veicolo editoriale tradizionale, come il libro per dare corpo alle mie esigenze narrative. Comunque, ci sono diverse foto che hanno segnato il mio percorso professionale, sono foto semplici non scattata in contesti straordinari per come siamo abituati ad intendere questo termine. A seguito di questa premessa direi che ed essendo costretto a sceglierne solo una tra le mie foto, la scelta ricadrebbe su uno scatto eseguito all’interno di un ovile e pubblicata su “Ispantos a journey in Sardinia” (2007 Soter Editrice) nell’immagine un cane passa in primo piano e sullo sfondo ci sono delle pecore in uno spazio coperto, ciò che mi ha colpito quando ho stampato per la prima volta questa immagine da un negativo molto rovinato è stata la gamma tonale mantenuta all’interno di una decisa separazione tra il bianco il nero e la gamma di grigi. Ho capito che potevo collocare quella foto in uno spazio espositivo di qualsiasi livello. È una delle pochissime foto da me scattate che ho voluto esporre nel mio studio.
Cosa c’è dentro la tua borsa fotografica?
A seconda dei casi il contenuto della mia borsa fotografica può molto cambiare si passa dalle due Minolta corredate con tre ottiche (28mm, 40mm e 90mm) per arrivare a due Rolleiflex se voglio lavorare in medio formato. Negli ultimi tempi sempre di più nella mia borsa ripongo la Canon 5D Mark III con un 35mm 1.2, un 50mm 1.4 e un vecchio 80-200mm 2.8 più una Mamiya 7 II con adattatore panoramico e 60mm. Naturalmente non manca un registratore audio Zoom, un esposimetro Minolta, un flash 580ex. Quando la situazione me lo permette porto con me un vecchio cavalletto Manfrotto con testa video.
Cosa pensi di aggiungere a breve nella borsa e cosa invece pensi di dare via?
Mi piacerebbe cominciare a lavorare con un bel banco ottico, si sogno di metterci un banco ottico e di fare un lavoro lento e lungo. Ho bisogno di tempo, spazio e luce. per questa libertà darei via tutto.
Il sito di fotografia che visiti più spesso?
Tra i siti che consulto di più metterei FPmag come sito italiano e Aperture come sito estero.
Grazie Dario!
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