Mi chiamo Francesco Anselmi, ho 31 anni, sono un fotografo documentarista. Vivo e lavoro tra Milano, Atene e New York. Da tre anni porto avanti un progetto a lungo termine sulla Grecia contemporanea e le conseguenze che la recessione economica sta avendo sul paese, con l’idea, un giorno, di realizzare un libro. Sono rappresentato dall’agenzia italiana Contrasto, e lavoro per alcuni tra i principali magazine e quotidiani italiani ed esteri.
Quando hai iniziato a fotografare e perchè?
Ho iniziato a fotografare ai tempi dell’università, che ho poi abbandonato per dedicarmi esclusivamente alla fotografia. Vengo da una famiglia di antropologi che ha sempre dato molta importanza allo studio e ai risultati scolastici. Credo che la scelta di fare della fotografia il mio mestiere sia nata dalla voglia di dimostrare che esistono anche altre strade percorribili, non accademiche, legate a linguaggi e mestieri diversi, ma sempre centrate sul racconto e lo studio dell’essere umano. Oggi è molto bello ritrovarsi a parlare di fotografia insieme. Anche per loro si è aperto un nuovo mondo e spesso mi chiamano per parlare dei libri e delle mostre che vedono in giro.
Il tuo / i tuoi generi fotografici?
Difficile stabilire un genere fotografico. Mi occupo del mondo reale, ma non cerco di raccontare o trasmettere delle verità. Mi interessa raccontare ciò che vedo e vivo in prima persona. Non tento mai di occultare la mia presenza, se non tramite un prolungamento della presenza stessa.
Ricordo che i primi tempi in cui cominciavo ad occuparmi di fotografia avevo una visione molto incantata del fotogiornalismo, quasi la convinzione che il mondo sarebbe potuto cambiare grazie alle immagini. Oggi la penso molto diversamente, e scatto principalmente per me stesso. Sono convinto si del ruolo fondamentale della memoria storica, a cui la fotografia da più di un secolo contribuisce significativamente; ma non amo sentire la parola verità associata alla fotografia documentaria, credo anzi che la sua forza sia proprio quella di fornire tante visioni di uno stesso fenomeno, tutte oneste, quindi vere, ma anche molto differenti.
La tua giornata tipo?
Non esiste! Si va dal non dormire per 48 ore presi dall’adrenalina delle foto che si stanno scattando con seguente consegna notturna pre chiusura alla testata di turno, che naturalmente pensava a quella storia da alcuni mesi, ma ha creduto bene di fartela fare il giorno prima di andare in stampa, fino allo svegliarsi per una settimana alle 9.30 (11.00) del mattino, fare colazione, e dividersi tra organizzazione di lavori svolti e lavori da svolgere. In parole povere, centinaia di mail.
Puoi raccontarci la fotografia più importante della tua carriera o quella a cui tieni di più?
Ci sono più foto che hanno avuto un ruolo importante in fasi differenti della mia breve carriera. Se ripenso agli anni in cui frequentavo L’International Center of Photography a New York, che hanno avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione fotografica, mi viene in mente un’immagine di una ragazza, scattata una sera a Tompkins Square Park, nell’ambito di un mini progetto su un gruppo di giovanissimi tossicodipendenti che seguii per alcune settimane. Quella è stata la prima volta in cui la fotografia mi ha connesso a delle persone fino a quel momento sconosciute e lontane, e poi improvvisamente così vicine e disponibili a condividere con me un momento molto intimo. L’empatia umana che si può generare tramite una fotografia è poi diventata la forza motrice del mio lavoro.
Cosa c’è dentro la tua borsa fotografica?
Nella mia borsa girano un sacco di macchinette ed accessori diversi, alla costante ricerca del setting ideale. La mia ammiraglia è una Nikon D700, macchina ora fuori produzione e da certi punti di vista superata, ma impareggiabile nella lettura di luci e contrasti. Poi porto sempre con me una macchina a pellicola, spesso l’X-pan dell’Hasselblad, in quest’ultimo viaggio in Grecia mi sono anche fatto prestare una Minox da un amico. Per quanto riguarda le lenti lavoro esclusivamente con un 28mm fisso, raramente uso anche un 35mm. Poi ci sono le luci. Ho sempre con me una torcia fotografica a luce continua, un flash di piccole dimensioni (purtroppo rubatomi durante una recente aggressione), e un flash ad incandescenza, oltre ad un fondale nero. Immancabili anche un registratore audio e un quaderno per appunti.
Cosa pensi di aggiungere a breve nella borsa e cosa invece pensi di dare via?
Vorrei vendere un 80-200 che non porto con me da secoli. Anzi ora che ci penso non l’ho mai portato con me. E’ una lente molto comoda per chi si occupa di news o sport, poiché permette di isolare soggetti e azioni dal contesto in cui si trovano. Ognuno trova il suo modo di lavorare; io seguo una regola precisa, se non vedo la foto nel mio 28mm, significa che quella immagine non mi appartiene e non sa da fare.
Per quanto riguarda le aggiunte mi piacerebbe sperimentare un dorso digitale per medio formato.
Il sito di fotografia che visiti più spesso?
Non saprei.
Grazie Francesco!
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