Ciao, mi chiamo Gabriele Galimberti, ho 38 anni e sono toscano.
Sono cresciuto in Val di Chiana, dove ho vissuto per 25 anni e dove per una parte del mio tempo vivo ancora.
Da piccolo sognavo di diventare uno skater (Tony Hawk era il mio mito), poi un musicista (Frank Zappa era il mio mito) e poi un fotografo (per la fotografia non avevo ancora un mito). Ho realizzato solo l’ultimo sogno, e infatti da circa 12 anni faccio il fotografo.
Quando hai iniziato a fotografare e perchè?
Ho iniziato ad avvicinarmi alla fotografia quando avevo poco più di 14 anni. Mio padre aveva una piccola camera oscura in cantina e qualche volta mi ha portato a stampare delle foto (sinceramente, adesso devo dire che non era proprio bravo a stampare, ma non gli dite nulla, ci rimarrebbe male :-)).
Nello stesso periodo, sempre mio padre, mi aveva regalato una delle sue macchine fotografiche, una vecchia reflex Canon. Io da quel momento me la sono sempre portata con me, stava fissa dentro il bauletto della mia Vespa50. Mi piaceva fotografare i miei amici, le cose che facevamo insieme. Creavo dei piccoli album che ricostruivano le storie che vivevamo assieme, un paio di volte mi ricordo di aver fatto anche delle specie di fotoromanzi.
È in quel periodo che ho iniziato a scattare le prime foto, ma è poi molto più tardi che ho veramente imparato a farle, quando ho frequentato il corso triennale alla Fondazione Marangoni di Firenze. Avevo 22 anni, quando ho concluso il corso. Poco dopo ho iniziato a lavorare e poi non mi sono più fermato.
Il tuo / i tuoi generi fotografici?
Mi occupo principalmente di fotografia documentaria (soprattutto progetti a lungo termine) e ritratti.
La tua giornata tipo?
Non ho una giornata tipo, ma le cose che faccio più frequentemente sono:
1.ricerca per i miei progetti (soprattutto in internet)
2.comprare voli e organizzare viaggi
3.prendere la moto, uscire la mattina di casa senza una meta, e rientrare la sera.
Ultimamente però le mie giornate sono state riempite dalla conclusione del mio ultimo libro, THE HEAVENS, realizzato insieme a Paolo Woods. È un progetto sui paradisi fiscali al quale abbiamo lavorato per circa 3 anni e che è diventato un libro in doppia edizione, inglese e francese, circa un mese fa.
Abbiamo anche esposto il progetto al festival di Arles di quest’anno (è ancora in mostra fino a settembre).
Puoi raccontarci la fotografia più importante della tua carriera o quella a cui tieni di più?
Ci sto pensando da 15 minuti, ma non mi viene in mente la foto più importante della mia carriera, forse non c’è!
Ho però una foto che amo particolarmente, ma non è mia e non so chi l’ha scattata. È una foto dei miei genitori che si baciano sotto gli occhi di mio nonno. È stata scattate nel ’70 (più o meno). Oltre il valore affettivo, credo che quella foto sia proprio bellissima!
Cosa c’è dentro la tua borsa fotografica?
Una Pentax 645z con due lenti (55 e 35), due flash Canon con vari trasmettitori, tutte le batterie necessarie, schede di memoria, una griglia per i flash, un viewfinder, e una pompetta per pulire la macchina dalla polvere.
Cosa pensi di aggiungere a breve nella borsa e cosa invece pensi di dare via?
Forse aggiungerò una nuova lente, magari un 85. Invece non credo che eliminerò qualcosa.
Il sito di fotografia che visiti più spesso?
Il blog Lens del New York Times.
Grazie Gabriele!
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