Mi chiamo Gianluca Polazzo, ho 40 anni e sono un fotografo professionista. Vivo tra Vicenza e Verona. Lavoro a Vicenza ma in realtà mi sposto in tutto il mondo.
Sono curioso e mi piace il gesto fotografico, quindi ho unito le due cose. Negli anni ho capito che per fare cio’ che volevo fare non avevo bisogno di molte cose. Ho quindi cercato di razionalizzare e recuperare gli strumenti necessari per portare a casa il lavoro.
Ho un’idea: la fotografia deve essere sociale e per questo mi sto legando sempre piu’ a onlus (di piccole dimensioni) o missioni che mi permettano di dare un senso compiuto alla mia fotografia. Affianco anche diverse aziende che hanno la necessita’ di documentare la propria realta’. Aziende scelte che mi permettano di operare in modo completamente indipendente.
Quando hai iniziato a fotografare e perchè?
Sono 25 anni che fotografo, dapprima per pura passione e poi ho capito che poteva diventare un lavoro serio ma che mi permettesse comunque di divertirmi.
Il tuo / i tuoi generi fotografici?
Street, reportage e documentaristico sempre in bianco e nero.
La tua giornata tipo?
Varia a seconda degli incarichi o degli impegni. Lavorando per lo piu’ su progetti a lungo termine, le mie giornate possono sembrare lente. In realta’ sono solo le fasi intermedie che mi portano verso le giornate frenetiche dei servizi e dei viaggi.
Puoi raccontarci la fotografia più importante della tua carriera o quella a cui tieni di più?
Forse non esiste, nel senso che ogni fotografia ha un suo significato profondo, un qualcosa che mi lega a lei, proprio dovuto al modo in cui ho deciso di interpretare la fotografia. Se devo pero’ sceglierne una e’ quella che allego. E’ stata scattata al volo, dal furgone che mi stava portando alla onlus in Kenya. E’ nata per pura coincidenza: non dovevo essere seduto davanti perche’ avevo quasi 24 ore di viaggi alle spalle e volevo riposarmi. Ma visto che c’era una bambina che era stanca, ho ceduto a lei e ai suoi genitori i posti dietro. A fianco al conducente, oltre la paura per come guidava, ho visto delle cose che avrei perso se mi fossi addormentato. Questa foto e’ la cosa migliore che ho visto in quel viaggio di 3 ore, a pochi metri dalla onlus, a transfer ormai finito e con davanti 15 giorni di lavoro. Realizzata a pellicola, al volo, contro sole e senza esposimetro, attraverso il parabrezza del furgone. Vista, tirata su la macchina e impostata al volo, scattata. Punto. Ma quello che vedo in quella foto e’ una parte del Kenya che in pochi possono vedere. Contrapposizioni e modi di vivere davvero inusuali per noi.
Cosa c’è dentro la tua borsa fotografica?
Nei giorni tranquilli, quelli in cui non ho incarichi particolari, mi piace viaggiare leggero e porto con me la Leica M6 o la Monochrome con montato il 50mm Noctilux (con apertura f/0.95), focale che adoro, accoppiato quasi sempre a un filtro ND variabile di buona qualità che mi permette di scattare anche con molta luce a tutta apertura e in modo veloce aggiustare l’esposizione. Una scheda o un paio di rullini per la giornata mi bastano.
Quando sono in viaggio o ho incarichi particolari, a entrambe le macchine sopra affianco anche una Leica M2 e gli altri due obiettivi, un 35 Summicron e un 50 Summilux, entrambi degli anni ottanta, oltre ovviamente a schede, batterie e rullini.
In tutti i casi comunque non manca mai l’esposimetro a celle (che non necessita di batterie) e il taccuino per prendere appunti su ciò che vedo e sento.
Per i viaggi o i lavori a lunga durata per i quali sto distante qualche giorno o più, aggiungo un hard disk della WD con slot per le schede che mi permette di fare i backup delle foto. Lavorando in modo indistinto tra analogico e digitale, non ho mai con me un computer per post produrre perché mi mancherebbe metà del lavoro e non riuscirei a dare un filo logico completo al lavoro.
L’unico device, oltre allo smartphone, che mi accompagna di solito è in iPad Mini protetto da una cover antiurto professionale per mantenere i contatti con casa e per lo svago.
Per alcuni lavori (molto raramente) mi sposto sul medio formato analogico, una Mamiya 7 con 3 lenti che mi permette di lavorare con maggior dettaglio su un negativo di grandi dimensioni.
Cosa pensi di aggiungere a breve nella borsa e cosa invece pensi di dare via?
Dopo qualche anno sono riuscito a rendere collaudata la mia attrezzatura, quindi credo che non darò via nulla e, se non in caso di necessità, non acquisterò nulla. La borsa perfetta è un miraggio che ogni fotografo ha ma dal canto mio credo di aver raggiunto l’equilibrio perfetto per le mie esigenze.
Il sito di fotografia che visiti più spesso?
Vuoi ridere? In realta’ e’ Google. Nel senso che quando ho bisogno cerco in rete cio’ con cui documentarmi. Viaggiando e lavorando in un determinato modo, cio’ di cui ho bisogno sono informazioni sui luoghi che visitero’ e informazioni su cosa e’ gia’ stato fatto in merito. Idee su come i grandi hanno affrontato determinate problematiche e punti di vista diversi sono le cose che piu’ mi stimolano.
Grazie Gianluca!
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