Mi chiamo Maria Grazia Mormando, ho trentun’anni, vengo da Tursi un piccolo posto della Basilicata, anche se in questo momento vivo e lavoro a Roma. Le mie esperienze fotografiche sono di base sperimentali, riguardano progetti intimi; a livello lavorativo mi occupo più spesso di moda e ritratto. Ho avuto un gran maestro, Angelo Cricchi, che mi ha fatto capire quanto in realtà la linea tra fotografia di moda e fotografia sperimentale sia (e spesso debba necessariamente essere) più sottile di quanto non si creda. Vengo dall’ISFCI Istituto Superiore di Fotografa e Comunicazione Integrata di Roma a cui devo quasi tutta la mia preparazione tecnica e umana sulla fotografia.
Quando hai iniziato a fotografare e perchè?
Ho fotografato la mia prima volta a ventiquattro anni, dopo una profondissima crisi che ha messo in discussione tutto quello che avevo fatto e che ero stata fino ad allora, ma non è stato esattamente da un giorno ad un altro, è stato più come avere una piccola cosa dentro che tentava di risalire tutti i mie strati ed uscire, una specie di lava che era pronta a manifestarsi alla luce, anche se ancora timida. Scattavo di nascosto perché non capivo ancora bene che mi stava succedendo e un po’ mi vergognavo di questa cosa nuova, raggiungevo la parte alta del mio paesino dove si trovava casa disabitata dei miei nonni, con l’unica macchina che avevo, una vecchia Praktica di mio padre. Venivo da un periodo difficile, pesavo pochissimi chili e per me era come scalare mille montagne, era una prova quasi fisica ma quando ero lassù era perfetto: non c’era niente se non io, la macchina e quello che avevo in testa, lavoravo su di me in un posto in cui mi sentivo a mio agio, quello della mia infanzia, come un altro pianeta ma conosciuto. Non so perché ho iniziato, penso che fosse arrivato il momento e basta.
Il tuo / i tuoi generi fotografici?
Non c’è un genere che mi attrae di più di altri, ma spesso apprezzo in modo più intenso le immagini che ambiscono a parlare dell’esistenza in termini quasi di astrazione, di sogno, mi piace quando la materia (corpi o cose) riesce a superare se stessa rimandando a qualcosa d’intangibile che le appartiene, una parte profonda che aleggia un po’ più in alto, qualcosa di superiore: come l’anima di un corpo o come il significato o il valore intimo attribuibile ad un oggetto; come nelle opere di Tarkovskij, la materia non è mai solo materia, tutto rimanda a cose più alte o come in Francesca Woodman, in cui ogni cosa è affare intimo.
La tua giornata tipo?
Vado per strada osservando ma non ricordo mai forme o colori, nemmeno le sembianze della gente, mi resta solo la memoria di quello che ho sentito vedendo le cose, come se camminando avessi trapassato tutto con gli occhi fino al nocciolo irriducibile senza prendere altro. Cammino come in una dimensione di sogno e tocco tutto con la mente, poi torno a casa. Quando dentro di me la somma è abbastanza forte e pronta scatto. Non è una cosa pensata, mi viene spontanea. Sono una pessima fotografa, non ricordo mai i dettagli di nulla, nemmeno quelli essenziali, per la fotografia pratica questo spesso rappresenta un problema.
Puoi raccontarci la fotografia più importante della tua carriera o quella a cui tieni di più?
La prima, perché è stata il primo passo.
Cosa c’è dentro la tua borsa fotografica?
Hasselblad 500cm con Carl Zeiss Planar 2.8, un esposimetro, rullini (spesso 3200 asa), Nikon D700 con 50mm 1.4 fisso, pezzi di calze o tela, forbici, nastro adesivo.
Cosa pensi di aggiungere a breve nella borsa e cosa invece pensi di dare via?
Per ora non aggiungo nulla; di dar via è escluso, ogni pezzo è frutto di risparmi e sacrifici.
Il sito di fotografia che visiti più spesso?
Non ci sono siti che seguo, osservo tanto il lavoro degli altri fotografi per mostre ma anche su web e dai miei contatti social.
Grazie Maria!
Link:
Sito web