Matteo Abbondanza nasce a Genova nel 1976 e dal 2002 vive a Milano: qui si occupa di media relations e giornalismo. Ha una sola grande passione: la street photography, genere che pratica da oltre dieci anni e nel quale ha ormai sviluppato un proprio stile che lo identifica in modo inequivocabile.
Il suo percorso fotografico, infatti, lo ha portato a interpretare la fotografia di strada come una costante ricerca sull’interazione tra soggetti e geometrie urbane e sull’accostamento di elementi grafici: ne nascono scatti estremamente puliti, composizioni maniacali, inquadrature essenziali, immagini dal forte impatto grafico. Questo approccio alla fotografia di strada gli ha permesso, negli anni, di ottenere diversi riconoscimenti, anche a livello internazionale. È membro di Italian Street Eyes, collettivo di riferimento sulla street photography.
Quando hai iniziato a fotografare e perchè?
Ho iniziato circa 10 anni fa: era un periodo particolare e avevo bisogno di fare un viaggio da solo. Così me ne andai una settimana a Istanbul, meta che scelsi perché era caotica e incasinata quanto me. Me ne innamorai a tal punto che vederla non mi bastava: dovevo fotografarla. Volevo immortalare tutto ciò che, in essa, aveva il sapore di verità, di realtà. Così comprai una reflex in un negozietto locale e cominciai a fotografare le scene di vita che mi colpivano: ancora non sapevo cosa fosse la street photography, lo scoprii mesi dopo.
Col senno di poi posso dire di avere cominciato a fare questo tipo di foto perché è un modo, per me, di dare forma al mio amore per la verità, per la realtà, per la vita che accade.
Il tuo / i tuoi generi fotografici?
La street photography è l’unico che pratico con continuità. Apprezzo anche le foto di architettura. Il resto dei generi fotografici, per ora, non mi interessano né mi entusiasmano: non escludo di cambiare idea un domani.
La tua giornata tipo?
Non la ho, amo la varietà. L’unica cosa che programmo è il posto in cui andare a scattare: deciso quello, prendo la camera, indosso scarpe comode ed esco. Per il resto, lascio che capiti ciò che deve capitare.
Puoi raccontarci la fotografia più importante della tua carriera o quella a cui tieni di più?
Di solito chi fa street photography gira come un pazzo a caccia di posti nuovi in cui scattare la foto perfetta: io ho sempre pensato che non conta il dove vai, ma il come ti guardi attorno. Tutto è ammirevole, basta guardarlo nel verso giusto. La foto in questione l’ho scattata dal balcone di casa di un amico, nell’entroterra ligure, circa un mese dopo che nel cortile sottostante c’era stata una frana che aveva devastato l’area. Quando mi sono affacciato dal balcone, in attesa che lui prendesse le sue cose per poi uscire assieme, mi ha detto: “Teo rientra, non c’è nulla da fotografare, è un posto da schifo”. Non era vero, in quello schifo c’era una foto che valeva la pena fare: scattai. La foto in questione, Light Window, venne premiata da Roberto Girometti – noto direttore della fotografia – col primo premio in un contest fotografico internazionale.
Cosa c’è dentro la tua borsa fotografica?
La mia borsa è composta da una Fujifilm X100F, da scarpe da ginnastica leggere e da due batterie di riserva. Amo viaggiare comodo. Ogni tanto, ormai sempre più di rado, uso la Canon EOS 70D con un 15-85 e scatto sempre e solo sotto i 50mm. Nel casi in cui esco con la Canon, allora monto la cinghia black rapid, è comodissima e non ti fa sentire il peso della camera.
Cosa pensi di aggiungere a breve nella borsa e cosa invece pensi di dare via?
Aggiungerò chilometri a piedi, darò via l’anima, come fatto fino a oggi.
Il sito di fotografia che visiti più spesso?
Visito sempre meno i siti e seguo sempre più solo i fotografi che mi piacciono. Siamo sommersi da ogni tipo di proposta fotografica: immagini a milioni, opinioni di “esperti” diventati tali per investitura di non si sa chi, corsi e workshop a 39.90€ come se fossero scarpe in saldo, libri che filosofeggiano sul senso mistico della fotografia, spacciatori di like al mercato del baratto… si va facilmente in overdose e si non si distingue più il cioccolato dalla melma. Preferisco starne fuori per un pò.
Grazie Matteo!